Ci sono cose ed oggetti che alla sola vista ci rimandano direttamente ad un periodo preciso della nostra storia: lo sono ad esempio la Fiat 600 per gli anni sessanta o la giacca con le spalline per gli anni ottanta; nel campo dell’arte visiva invece le cose sono più complicate nel caso lo spettatore non vanti una minima conoscenza di ciò che sta guardando.
L’arte dell’ungherese Victor Vasarely ( 1906-1997 ) sfugge però a questa regola, in quanto vero e proprio “manifesto” di un’epoca ben distinta.
Il percorso dell’artista è ricco di sperimentazioni e ricerche, dal cubismo e surrealismo degli anni trenta, fino alla scoperta della struttura geometrica come codice espressivo; realizzando negli anni quaranta e cinquanta opere di concezione astratta dove linee rette e ondulate si confrontano nella scelta cromatica del bianco e nero prima, e del colore poi.
Negli anni sessanta il percorso personale dell’artista approda alla definizione di un codice astratto di forme geometriche dalle infinite variazioni di tema, diventando uno dei massimi esponenti della neonata “Op-Art” (Optical Art).
Il suo lavoro è in quegli anni fortemente caratterizzato da un’ osmosi particolare con le nuovissime tematiche sociali, prima fra tutti la cultura psichedelica che nell’interazione di forme suoni e colori cercava di trovare l’essenza del proprio io attraverso la stimolazione degli apparati percettivi più reconditi.
E a guardare una sua opera non si può far altro che andare oltre lo schematismo geometrico per perdersi in un ludico viaggio ipnotico attraverso una dimensione illusoria che si contrae e si dilata, come a rappresentare una forma di vita all’interno di un rigido schema.
Un viaggio illusorio della percezione visiva, mondi infiniti dove l’organico ritmo del divenire è frutto di impeccabili calcoli matematici: niente di ciò rappresenta meglio la sensibilità diffusa negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta.
L’illusione di un mondo migliore, la ricerca tramite il viaggio (anche quello artificiale) di una nuova esistenza, più introspettiva e più devota alle leggi della natura.
In linea con gli aspetti etico-sociali di quegli anni Victor Vasarely, rende fruibili ad una larga maggioranza di pubblico le sue opere facendo realizzare svariati poster delle sue ormai celebri composizioni Optical.
Emblematica in questo senso la sua frase: “ …L’arte del domani sarà un tesoro comune collettivo o non sarà affatto arte”.
L’Optical infatti seduce, ha successo, verrà riproposto dal mondo della moda, lo troveremo nella grafica pubblicitaria, nelle scenografie della Tv ancora in bianco e nero; sempre in quegli anni le stanze dei giovani vengono tappezzate di poster, Hendrix, Morrison, Marley e magari anche… Vasarely, oppure no, ma ciò dimostra che il messaggio di un arte etica e di massa è arrivato.
In questo senso Vasarely ha centrato il tema della globalizzazione delle immagini con largo anticipo sui tempi delineando i meccanismi futuri della comunicazione e al tempo stesso caratterizzando graficamente un epoca che per molti ormai nel personale archivio della memoria ha le sembianze di un cartoncino optical.