Si è sempre detto e a maggior ragione viene oggi ribadito da molti, che è in tempo di crisi che nascono le idee migliori quelle destinate a determinare un nuovo corso, un cambiamento duraturo e in qualche modo epocale: ancora non sappiamo quale saranno le soluzioni per uscire dalla crisi che ci affligge oggi e se saranno sufficienti a determinare un nuovo corso, ma troviamo nel passato gli esempi più clamorosi che possono essere in qualche modo un incoraggiamento per il nostro tempo.
Uno di questi è rappresentato da una vera icona del mondo delle quattro ruote, ovvero la mitica Mini.
Nel 1956 in seguito alla crisi del Canale di Suez, la Gran Bretagna si trova ad affrontare una forte crisi petrolifera col conseguente razionamento della benzina per uso privato, in questo contesto il presidente della BMC ( British Motor Company ) chiede al suo progettista capo Alec Issigonis di lavorare al progetto di una piccola utilitaria economica nei costi di produzione e di gestione ma capace di trasportare quattro persone con comfort e prestazioni accettabili.
Il geniale progettista di origine greca disegna subito a mo’ di schizzo quelle linee di base che daranno origine da li a poco alla mitica vetturetta denominata a stadio di prototipo “ADO15”.
L’architettura di base è tanto semplice quanto funzionale: lunga 3 metri larga 1,40 e alta 1,35, le quattro ruote da 10 pollici poste alle estremità per non rubare spazio all’interno, dove trovano posto quattro adulti, un discreto vano bagagli e molti vani portaoggetti.
Ma la novità tecnica principale che rende possibile il “tanto spazio” nel “poco ingombro” è l’adozione del motore anteriore trasversale col cambio a quattro marce inserito nel carter del motore e la trazione anteriore.
Soluzione che con le pur dovute varianti è adottata ancor oggi dalla maggior parte delle utilitarie anche di dimensioni maggiori: è per questo motivo che la mini viene considerata a ragione la “mamma” delle city car moderne.
Così il 26 Agosto 1959 a Londra viene presentata al pubblico la nuova utilitaria nelle due varianti Morris Mini Minor e Austin Seven.
Motore di 848 c.c e 34 cv e velocità massima di 116 km/h .
Inizialmente come tutti i prodotti “di rottura” suscita un po’ di scetticismo nel pubblico di fine anni cinquanta abituato ancora alle linee opulente e pretenziose delle auto d’oltre oceano, il fatto è che il minimalismo della mini è il risultato di una razionale funzionalità mai raggiunta prima d’ora su di una auto così piccola.
Dopo le riserve iniziali la Mini conquista a poco a poco il successo meritato, tre anni dopo il debutto esce la versione più amata e più ambita ancor oggi dai collezionisti ovvero la sportiva “Cooper” equipaggiata con un motore di 997 c.c e 55 cv che spingerà la piccola auto sulla soglia dei 140 Km/h .
La Cooper verrà negli anni “maggiorata” nel motore e nella potenza, con la versione di 1300 c.c, e dal 1964 al 1967 sarà la dominatrice assoluta del Rally di Montecarlo.
La Mini diventa così di diritto una delle icone degli anni sessanta; figlia del boom economico come le Fiat 600 e 500, ma a differenza delle “super minime” italiane la Mini appare meno “povera” e più appagante nelle prestazioni nonché più moderna e modaiola.
Dal ’65 grazie all’accordo tra BMC e l’italiana Innocenti che la produrrà su licenza, la Mini diventa a tutti gli effetti un fenomeno anche italiano, in cima alle preferenze delle signore snob della nuova borghesia, entrerà suo malgrado anche nella disputa politica destra/sinistra post-sessantottina.
La piccola vetturetta verrà infatti associata al gusto dei giovani di destra, come la Citroen Dyane e la Renault 4 lo erano per quelli di sinistra.
Un auto che ha fatto epoca insomma: ha resistito agli anni settanta, gli anni della grande crisi energetica, alle ristrutturazioni aziendali inglesi degli anni ottanta, negli anni novanta si è pure adeguata alle nuove normative anti inquinamento con l’istallazione del catalizzatore.
Ma ha dovuto cedere al nuovo millennio, alle moderne e complesse tecnologie che presiedono ai nuovi criteri di sicurezza attiva e passiva come gli Airbags, l’Abs, e poi l’Esp; insomma troppa tecnologia in soli 3 metri di macchina!
Così nel 2001 la BMW che nel frattempo ne ha rilevato il marchio presenta la Mini del nuovo millenio.
Molto più grande della progenitrice, è moderna nella meccanica e nell’elettronica ma mantiene fedele lo stile e lo spirito snob e sportivo del modello originario, rinnovandone l’interesse verso il pubblico giovanile.
Anche la nuova Mini diventa ed è tutt’ora un grande successo commerciale, l’esempio di come un idea geniale possa sopravvivere a lungo.
Nel caso della Mini l’idea è di una persona sola: quell’ Alec Issigonis che la regina opportunamente nominò baronetto e che per primo, forse inconsapevolmente, aveva scoperto la formidabile formula stile-tecnica-marketing che oggi è alla base del successo commerciale di ogni prodotto industriale e commerciale.